Quando vedo una ragazza, molto giovane e carina, dai lunghi capelli viola, avvicinarsi con aria preoccupata verso di me, e mi fa:” ehi, tutto bene?”. Io farfuglio qualcosa e mi gratto il capo. La ragazza mi si avvicina e dalla mano le parte uno strano raggio luminoso che mi circonda. Un’energia. Una potentissima energia, mi attraversa tutto il corpo. Sono in espansione, mi sento potente. Gli occhi mi si spalancano e il respiro mi si regolarizza. Guardo la ragazza che sorride e con un gesto della mano fa sparire quel misterioso fascio di luce che mi circonda. “ehi, ma cosa…”.
La ragazza sorride, e mi guarda dolcemente.
Nero.
Caos in città. Questa sera giocano gli Omeda city shock waves e gli Zechin’s Devils. Una partita molto attesa, a quanto pare. Personalmente non sono un grande fan degli sport di massa, ma osservare la passione, e il clima che si crea quando due squadre di questo calibro si affrontano, è sempre stupefacente. La gente sembra riappropriarsi degli spazi comuni, ed è presente a tutte le ore in ogni dove. E’ veramente magico. Mi sto avvicinando alla piazza col mega-schermo sul quale si trasmetterà la partita. I ragazzi non fanno altro che parlare dei loro giocatori, ricordando partite passate e i trionfi ormai quasi dimenticati. Mentre cammino lentamente sento un forte battibeccare proveniente da un piccolo vicolo laterale che parte proprio dal vialone principale che porta in centro. Decido di scoprire da dove provengono quelle curiose voci. All’improvviso mi ritrovo in una piccola piazzetta, sulla quale s’affaccia un bar, che per l’occasione ha organizzato un arredo urbano con tavoli e numerose sedie proprio al centro della piazza, dov’è posizionato un enorme monitor. Le fragorose risate e schiamazzi sembrano principalmente provenire da due personaggi particolarissimi: un roditore fuori misura, senza un orecchio, con un sigaro in bocca, e l’altro, con tanto di pipa, sembra un anziano maestro marziale. Entrambi partecipano al Paragon, uno è sicuramente il maestro Feng Mao, e l’altro ha un nome stranissimo, Houi, Hoili, ora non ricordo.
Una cosa è certa, devo riuscire ad avvicinarmi e scambiarci qualche parola. Potrebbe essere una buona occasione per cominciare a raccogliere del materiale per i miei dossier. Entrambi dibattono circondati da una coltre nube di fumo. A stento riesco a vederli; e tutti intorno ci sono altri tifosi non meno presi dallo spirito del pre-match. Una voce robotica dagli enormi amplificatori annuncia: “Avviso per tutti gli spettatori: il match a causa di problemi col matchmaking è stato annullato”.
Silenzio assoluto.
“Ripeto, il match, causa problemi col matchmaking, è stato annullato e sarà rimandato a data ancora da definire”.
Ancora silenzio assoluto.
Dalla massa di gente parte la voce di un uomo di mezza età che inveisce contro il mega-schermo e, come l’inizio di un violento acquazzone, le voci di protesta cominciano a moltiplicarsi e a farsi sempre più forti; finché una tempesta sonora si riversa in strada facendo vibrare l’etere e l’asfalto sotto i miei piedi.
La folla iraconda davanti al mega-schermo si muove verso di me. Sono nel posto sbagliato al momento sbagliato: Sono proprio davanti all’unica via d’uscita della piazza. La gente lancia oggetti d’ogni tipo in segno di protesta; alcuni stanno spaccando dei tavoli e delle sedie.
Cerco in ogni caso di avvicinarmi a quei due personaggi, anche se la folla mi sta tracimando. Sento gridare: “Attento!”
Qualcosa mi colpisce dietro il capo.
Nero.
La ragazza mi fa: “Eh, si ti ha colpito proprio forte quella bottiglia”.
Mi massaggio il capo: “Ah, era una bottiglia. Diamine che male…”
Sorridendo: “Si è rotta anche… ma non ti preoccupare. Dovresti essere a posto ora”.
La ragazza è stupenda, ora che riesco a vederla chiaramente.
Annuisco leggermente, “Mi chiamo Lex. Piacere…”, e tendo la mano.
Lei guarda verso il mega-schermo dove c’è la folla, ma il suo sguardo, riesco a percepirlo, è proprio indirizzato verso quel roditore; poi si volta di nuovo verso di me abbozzandomi un sorriso, e mi afferra la mano stringendola dolcemente: “Phase, piacere”.
“Phase?!” la guardo con aria stupefatta.
Lei annuisce con aria confusa.
“Phase… Phase?!”.
“Credo di si. Conosci molte ragazze con questo nome?”.
“Tu sei Phase del Paragon?”.
“mmmm… si”.
Penso subito tra me e me “Che botta di culo! Tra tutta questa gente, chi mi viene a salvare? Il support più giovane della competizione, e non neghiamo, una delle più fighe partecipanti!”.
Comunque credo che mantenere nascosta la mia veste di reporter, e tentare di scucirle un’intervista tra i denti non ufficiale, sia la scelta migliore.
Forse, riesco a scoprire qualcosa degli eroi che davanti ai riflettori non racconterebbero mai. Sapete, spesso le interviste ufficiali diventano solo un copia in colla delle solite domande e risposte. Quindi ho pensato di giocarmela sul personale, magari riesco a far aprire questa ragazza praticamente inaccessibile ai media.
Ormai la massa di tifosi è lontana e ha lasciato per strada distruttivi segni del proprio passaggio.
La butto lì: “Ti andrebbe di fare due passi? Ti riaccompagno a casa, o dove vuoi…”
Abbozza un sorriso meraviglioso. Caspita che occhi! Poi si guarda intorno e noto che nuovamente incrocia lo sguardo di quel roditore fuorimisura che annuisce col capo sorridendo col sigaro in bocca.
“Ok, va bene… faccio strada”.
Iniziamo a camminare dirigendoci verso una serie di vicoli che puntano alla periferia della città.
Ora che non ho più la vista appannata, noto che Phase ha numerosi pendagli ed è vestita di viola.
“Posso farti una domanda un po’ invadente?”.
La ragazza mi sorride con sospetto in sospeso.
“Come mai hai deciso di partecipare al Paragon?”.
Phase contrae leggermente le labbra in una lieve smorfia: “Difficile da spiegare in due parole…”
“Beh, provaci sono un ottimo ascoltatore…”
Mi guarda profondamente negli occhi. Mi sta studiando, lo capisco; poi mi fa: ”Beh, se proprio lo vuoi sapere, non è che faccia i salti di gioia per essere qui”.
“In che senso? Sei obbligata a partecipare?”.
Silenzio.
“Va, beh ho capito, mi faccio gli affari miei. Scusa se mi sono intromesso”.
“Ma no, no. Figurati! È che non saprei da dove cominciare. Ormai non so neppure io perché sono qui”.
Sorrido lievemente: “Ah non dirlo a me”.
Phase: ”Hai visto quei due pagliacci prima in piazza?
“Chi?”.
“Come chi? Quel vecchio brontolone di Feng e quel mostricciatolo al suo fianco”.
“Ah! ti riferisci a quelle due ciminiere”.
La ragazza ride di gusto.
“Si, hai proprio ragione, sono due vecchie ciminiere”.
“Li conosci da molto?”
Phase annuisce chiudendo nostalgicamente gli occhi.
“Si… Feng da tantissimo, e Howi, praticamente da sempre. Sono nata ed era già vicino a me”.
La guardo di sbieco con aria curiosa.
Sorride: “Era di mio zio… Era l’animaletto di mio zio”.
“Era di tuo zio…?”.
Phase annuisce.
“Ok, ho capito non ti va di parlarne. Lasciamo stare, non preoccuparti”.
“Ma no, no. Semplicemente, non ne ho mai parlato con nessuno”.
Ci scambiamo uno sguardo profondo, quasi intimo. Capisco che si sta aprendo. Non posso tradire la sua fiducia, e se mi dovesse raccontare qualcosa di troppo personale, rimarrà soltanto nella mia memoria. E in queste poche righe. Non voglio creare problemi a una ragazza così fragile.
Ha degli occhi stupendi. Non riesco a non fissarla.
Phase abbassa lo sguardo dritto davanti a lei.
“Sai non sono sempre stata… così”.
“In che senso… vuoi dire così bella?”.
Abbozza un sorriso leggermente imbarazzato ma sincero.
“Eh, troppo gentile. No, voglio dire, con questi poteri”.
“Ah, si? Quindi non sei nata con questo potere?”
Phase nega col capo facendo una leggera smorfia col labbro.
“No, né io, né quella piccola ciminiera che hai visto prima vicino al maestro Feng”.
“Houirster?”.
La ragazza scoppia a ridere.
“Cosa ho detto?”.
“Come l’hai chiamato?”.
“Howi… o non lo so, non so come di pronunci correttamente”.
“Howitzer… ahahah. Sai, neanche quello è il suo vero nome?”.
“Ah, no?”.
“No”.
“E il tuo?”.
“Oh si. Il mio è davvero Phase”.
“E come si chiamava?”.
“Howi… glielo diede mio zio quel nome”.
“E perché ora si chiama Howitzer?”.
Phase prende un profondo respiro: ”Credo sono passati ormai… sei anni. Allora non vivevo ancora su Omeda col Dottore”.
“Col dottore?”
“Il dottor Maximov. Ne hai mai sentito parlare?”.
Annuisco.
“Prima di Omeda, abitavo con mio zio sulla luna Zechin. Sai… quando ci fu il cataclisma lunare e l’Ashur aprì il sigillo conquistando il Mallenk…”.
Annuisco col capo.
“Molte città furono distrutte. E morirono tantissime persone, e mio zio purtroppo… fu una delle vittime”.
Phase abbassa gli occhi.
“Non avevo praticamente nulla, niente. Niente casa, niente famiglia. Dei miei genitori non ho mai saputo nulla. Mio zio non voleva mai raccontarmi nulla. Così Howi, il mio piccolo topino, era l’unica cosa che mi rimaneva. Non c’era più niente. Niente città, niente persone, solo desolazione e distruzione”.
Una lacrima scende lentamente solcando la vellutata pella del volto di Phase.
“Un giorno, ormai passati già mesi dal disastro, arrivarono tantissimi soldati e scienziati con strumenti e apparecchiature d’ogni sorta; e un uomo particolarissimo dietro che li dirigeva. Beh, erano la mia unica possibilità. Ormai erano settimane che fuggivo da predatori e mangiavo quello che trovavo in giro per le case distrutte e nella foresta. Così mi lanciai col piccolo Howi nelle braccia di quello strano soggetto, pregandolo di salvare, se non me, almeno il piccolo Howi che nel cataclima era stato mutilato di un orecchio e la ferita che aveva si stava infettando gravemente”.
Abbozzo un sorriso notando che un raggio di tranquillità le marca l’espressione.
“Era il Dottore Maximov, quel uomo. Imbarazzatissimo quando mi ebbe praticamente in braccio”.
Phase sorride.
“Non ha figli il Dottore, e spesso mi ha trattata come se lo fossi. E così mi prese con sé portandomi alle Tryon su Omeda”.
“Quindi sei stata adottata da lui?”.
“Diciamo… si, più o meno. Non so ancora cosa ha visto in me quel giorno per poi decidere di ‘darmi’ ciò che ormai è noto a tutti. Continuava a ripetere: I tuoi occhi, hai un’energia interiore, qualcosa che ancora non conosci piccola”.
“In che senso? Lui ti ha dato i poteri?”
Phase annuisce.
“Non mi chiedere esattamente come sono diventata quella che sono, perché tecnicamente non ti saprei rispondere. So soltanto che fecero a me e al piccolo Howi un milione d’esami! Ma non era così strano come può sembrarti. Alle Tryon, il dottore fa un sacco d’esperimenti su esseri viventi d’ogni tipo; ma lui non li tratta come se fossero dei casi di studio. Lui vive con loro… con noi. Fidati, non credere a ciò che dicono in giro sul dottore. Il dottore è stato ciò di cui avevo bisogno quando non avevo nulla, proprio nulla”.
“Ma non ho capito, ti ha usato come cavia?”.
Nega col capo in tono contrariato.
“Non fraintendere anche tu. Ascoltami bene. Lui non mi ha mai costretta a fare nulla”.
“Ma non ho capito ancora cosa ti ha fatto…”
Phase sospira profondamente e attacca: “Dopo tantissimi esami scoprirono che una strana energia legava me e il piccolo Howi. Non penso di esserci nata con questa cosa. Probabilmente durante la caduta dell’Ashur qualcosa ci è successa. Qualcosa ci ha marchiati. Il dottore la chiamava l’energia dell’amore, ma non credo che scientificamente si chiami così, semplicemente il dottore era il solito romantico e voleva dare un nome a effetto a questa sua scoperta. Sennonché cercò in tutti i modi di canalizzare questa energia, e ideò il condotto mutagene”.
“Il condotto mutagene?”.
“Così lo chiamano gli scienziati delle Tryon”.
“E che cos’è?”.
Phase ride.
“E che ne so. Tecnicamente ti ripeto, non saprei dirti cosa fa, so solo che è un cilindro molto stretto, pieno di luci fosforescenti, collegato a tantissimi terminali; nel quale uno entra e non so cosa accada dentro, ma esci fuori e qualcosa è cambiato. Qualcosa che avevi dentro viene portato fuori. È un luogo angusto, non si respira, ed è completamente al buio. Ci sono rimasta un’eternità. Non so esattamente quanto, ma lì dentro, perdi la cognizione del tempo; perché è come se non esistesse! Mi sentivo in completa estensione, come se tutto il mio corpo fosse allungato.
Non era una sensazione dolorosa, ma fastidiosa e… non terminava mai. Mi sentivo completamente in espansione!”.
La guardo con aria curiosa e lei gesticola come se stesse facendo un’elegante danza marziale.
“E così imparai a meditare per dominare questa nuova energia. E da allora devo sempre indossare questi bracciali e questi pendagli”.
Phase mi mostra due bracciali al braccio destro e due pendagli, uno che le cade all’altezza del giugolo, l’altro all’altezza del seno.
“A cosa servono?”.
“Servono per bilanciare l’energia”.
“Cioè?”.
“Allora, se uso i miei poteri senza questi, succede un casino”.
“In che senso?”.
“Il mio corpo fa vibrare i metalli e quando uso i miei poteri, se non avessi questi inibitori, almeno così li chiamano, tutti i metalli intorno a me comincerebbero a vibrare così forte da scaldarsi fino a sciogliersi”.
“Sciolgliersi?”.
“Fidati, non è uno scherzo”.
“No, no, mi fido”, abbozzo un sorriso.
“E Howi? Anche lui è finito nel coso mutagene?”
Phase annuisce.
“Si. Adesso non ricordo quale azienda all’epoca sviluppò la prima macchina da difesa, comunque, hai presente Crunch? Quel caspita di robot che gareggia al Paragon?”
“Anche lui è del dottore?”
“No, no ma va. Quella è la ragione per cui è stato creato Howitzer”.
“Cioè?”
“E’ una storia un po’ curiosa comunque per fartela breve: il dottore perse una gara con un’altra azienda di cui non ricordo ora il nome. La gara aveva come obiettivo creare una macchina da difesa robotica per una multinazionale di Letha. Il dottore progettò una struttura robotica efficientissima, la ZER, ma non era riuscito a costruire un’intelligenza artificiale abbastanza avanzata per gestire tutti gli strumenti che quel trabicolo offriva. Sennonché perse la scommessa, e per non buttare tutto quel progetto cominciò a studiare il piccolo Howi, e poco tempo dopo anche lui finì nel condotto”.
“E poi? Cioè, cosa gli accadde?”.
“Niente. Uscì così come lo vedi… a quel punto la macchina Zer non aveva più bisogno di un’IA; aveva il suo pilota su misura. Così Howi finì per diventare il minuto ingegnere pilota che conosci, svanendo il roditore con cui ero cresciuta… ma ci vogliamo ancora tanto bene”.
Un velo di nostalgia le si stampa sul volto.
“Siamo quasi arrivati. La vedi quella casa lì?”
Phase indica una piccola villetta dall’architettura orientale circondata da uno stretto ruscello.
“Tu vivi lì?”.
“No, io vivo su Omeda. Sono ospite dal fratello di una mia amica”.
Un ragazzo ben piazzato, dai lineamenti orientali, esce sul patio della villa e mi guarda con aria severa.
“Ciao Kwang! Come mai ancora sveglio?”.
Questo tipo mi sembra di averlo già visto…